Delirio a punti
di Cristiano Gatti
La premessa doverosa è una qualche forma di scuse all’Uci, per il massacro preventivo cui l’avevano sottoposta all’idea di portare il Mondiale in Rwanda. Se non lo vuole fare nessuno, lo faccio io, sebbene non sia tra i più categorici, perché di solito prima di giudicare mi piace vedere. A bocce ferme, a Mondiale concluso, mi pare invece di poter dire che ricorderemo un grande avvenimento, comunque lo vogliamo vedere. A parte la questione tecnica (percorso tremendo, vincitore idem, a dimostrazione che su certi percorsi vince sempre il più forte), conserveremo di questa stravagante deviazione in Africa un ricordo bellissimo. Vedere quella gente, quei ragazzini, incantati ed entusiasti alla sola vista di un campione, di più, di una bicicletta, ha riportato all’oggi le immagini e le atmosfere dei nostri anni ’50 e ’60, con quell’ingenuo candore che accompagnava il ciclismo. Tutto sommato, personalmente confermo una mia convinzione maturata negli ultimi anni: meglio portare il ciclismo (prese le dovute cautele, preparata un’organizzazione adeguata) dove ancora l’accolgono con entusiasmo e stupore, fosse anche su Marte, piuttosto che portarlo in certe metropoli nostre, dove ormai è accolto come un ratto nelle mutande. Per cui viva il Rwanda, viva l’Africa, viva tutti i luoghi che scoprono il ciclismo ed esprimono meraviglia. Ovviamente, viva l’Uci che li va a cercare.
Qanto agli evviva, mi fermerei subito qui. Perché poi l’Uci non può più raccattare neanche un consenso per l’atteggiamento che dimostra davanti alla deforme e assurda situazione creata dal suo sistema a punti. Ormai muoversi nell’ambiente sembra di muoversi nelle astanterie dei pronto soccorso o tra le casse degli ipermercati, la gente non parla che di punti. Un’ossessione generale. Non ci dormono la notte. Siamo al totale stravolgimento di uno sport, della sua filosofia primaria ed essenziale, nel generale silenzio di chi governa. Tornando per un attimo in Rwanda: ci sono diversi corridori che hanno chiesto di non andare in nazionale (anche italiani, anche italiani...) perché impegnati nella parossistica lotta finale dei punti. Neanche a Lecce e a Pisa sono così infoiati per evitare le retrocessione. O per salire dalla B. O per salvare i piazzamenti. Tutto viene deciso per i punti, tutto si fa per i punti. Nel finale di stagione, in vista del regolamento di conti, ci sono squadre che hanno girato il mondo più di Fogar per sgraffignare qua e là gli ultimi punti utili. Non è vita, su. Soprattutto, non è più ciclismo. Il tifoso vede un corridore ballare tra la fuga e il gruppo, senza guadagnare un metro, eppure insistendo con fatiche da asino. Cosa fa, perché non torna in gruppo, perché non si mette a disposizione della squadra. La verità è che nel nuovo ciclismo lui non sta pensando a niente di tutto questo, pensa solo a racimolare comunque qualche punto, galleggiando senza senso nel limbo della gara.
Questo ed altro. Mi piacerebbe che tutti, anche quelli delle grandi squadre, sollevassero il problema. È evidente che questo sistema non stia in piedi: sono sbilanciati i punteggi delle diverse gare, troppo a favore delle garette, ma soprattutto è un altro sport. Strategie di squadra, programmazioni stagionali, gestione oculata degli atleti: tutto saltato. Tutto carta straccia. Il nuovo ciclismo a punti stravolge la storia e la logica, mettendo al centro l’unico traguardo davvero decisivo: mica la vittoria, ma quale vittoria, servono i punti.
Può anche darsi che al pubblico questa cosa piaccia anche di più. Però basta saperlo. Basta sia chiaro e dichiarato che il mondo non gira più come una volta: si corre per il punto, non per il trofeo. Meglio dieci piazzamenti che una bella vittoria. Così che le spiegazioni, i ragionamenti, le valutazioni siano più sensate. Anche in tv. Prima di tutto, però, trasparenza: a me pare invece che il ciclismo si sia capovolto all’insaputa di tutti, più che altro degli ap passionati, che difatti ancora faticano a capire. Siamo davanti a un mostro. Un delirio a punti. E i potenti si girano dall’altra parte fischiettando ineffabili. Perciò, dopo gli evviva: in questo caso, abbasso l’Uci che non muove un dito. Vallo a spiegare in Rwanda, nelle nuove frontiere del ciclismo, cos'è questa roba.