Matteo Bianchi, il più veloce d'Italia

di Carlo Malvestio

59"661: con questo tempo nel Chilometro da fermo agli Europei su pista di Monaco di Baviera, Matteo Bianchi è entrato di diritto nella storia italiana del ciclismo su pista e della velocità. Mai nessun azzurro era infatti riuscito a scendere sotto il muro del minuto, cosa che invece è riuscita al bolzanino classe 2001, che alla rassegna continentale si è portato a casa la medaglia d’argento, alle spalle solamente del francese Melvin Lander­neau. Un mese prima, agli Eu­ropei U23 di Anadia, aveva invece conquistato la medaglia d’oro, non solo nel KM da fermo ma anche nel Keirin.
Bianchi rappresenta il simbolo del tentativo di rinascita del settore veloce italiano guidato da Ivan Quaranta. Nonostante la giovane età, traspare già una certa maturità, sia nelle valutazioni che nel modo di esprimersi: «Da piccolo facevo sci agonistico, poi per restare in movimento anche in estate ho co­minciato ad andare in bicicletta, mi so­no iscritto alla squadra locale e ho fatto le prime gare su strada - spiega il ventenne di Laives, cittadina di cui suo papà Christian è anche sindaco, che fa parte del Gruppo Sportivo dell’Eserci­to ed è tesserato con la Campana Im­ballaggi Geo&Tex Trentino -. Da esordiente la squadra ci portava anche a fare qualche gara su pista al velodromo di Mori o Pescantina e lì ho capito che forse quella poteva essere la mia strada. Perché la Velocità? Si adattava mag­giormente alle mie caratteristiche e, anche se l’Italia non aveva più tradizione, vedevo che all’estero c’era grande entusiasmo attorno a questa disciplina».
Matteo, è stata un’estate ricca di soddisfazioni questa per te.
«Tendo sempre a non enfatizzare ciò che faccio, è difficile che mi esalti per quello che ottengo, però sono ovviamente felicissimo per queste medaglie europee, sono la conferma del fatto che ho intrapreso la strada giusta. Con la testa, però, sono già ai prossimi allenamenti e ai prossimi obiettivi».
Quanto puoi mi­gliorare ancora?
«Non lo so, è molto difficile capire quali sia­­no i miei limiti. In primis perché sono giovane, quindi credo e spero di avere ancora tanto spazio per progredire, e poi perché quest’anno ho cambiato un po’ di cose nella preparazione e nel modo di allenarmi, il che rende le cose ancora più complicate da valutare».
Quest’anno per la prima volta hai avuto un movimento che ti sosteneva.
«Sì esatto. Da quando è arrivato Ivan Quaranta in Nazionale la qualità del lavoro in pista è decisamente migliorata, e poi ho una squadra alle spalle, la Campana Imballaggi Geo&Tex Tren­tino, che mi supporta 24 ore su 24 e con loro impostiamo i carichi di lavoro da fare su strada e in palestra».
Come è cambiata la tua preparazione quest’an­no?
«L’anno scorso avevo un programma di allenamenti troppo sbilanciato sulla palestra, così quest’anno mi sono affidato completamente ad Alessandro Co­den e Antonio Freschi della Cam­pana Imballaggi per i carichi di lavoro su strada e in palestra, praticando di più la prima e un po’ meno la seconda. E poi gli allenamenti in pista con Ivan so­no diventati molto più specifici e utili alle nostre gare. I benefici li ho sentiti immediatamente».
Hai solo 20 anni ma sei il faro del settore veloce su pista. Ti piace questo ruolo?
«Sì, mi piace, sono un po’ l’anziano del gruppo... Quando ho cominciato a ci­mentarmi nella velocità ero più o meno l’unico sprinter in Italia, mi allenavo da solo, a Montichiari ero circondato solo da ragazzi che puntavano sull’Enduran­ce. Poi è arrivato Daniele Napolitano, quindi Mattia Predomo e poi via via nuovi ragazzi, qualcuno anche dalla BMX. Tra gli juniores credo ci sia un bel gruppo che può venire su ed è bello confrontarci e lavorare assieme».
Pensi che le vostre vittorie possano avvicinare i ragazzi alla Velocità?
«È una cosa che ho detto anche ai più giovani prima dell’Europeo. Pur non mettendo alcun tipo di pressione, ho cercato di far capire quanto fosse im­portante portare a casa qualche buon risultato o qualche medaglia. Perché così si danno prospettive al settore. Far vedere all’esterno che si possono vincere gli Europei, che l’Italia lavora bene, avvicina sicuramente un ragazzo che magari è indeciso se provarci».
Siete sulla buona strada…
«Sì, ma siamo solo all’inizio del nostro cammino, per crescere ulteriormente c’è bisogno che il reparto Velocità di­venti un settore indipendente, visto che al momento dipendiamo dal settore En­durance e dal loro budget. Con­ti­nuando su questa strada, raccogliendo risultati a livello internazionale, credo ci siano buone possibilità che questo succeda».
Hai convinto tu l’altro bolzanino Mattia Predomo a scegliere la pista?
«Le nostre famiglie si conoscono da sempre e noi siamo amici da quando sia­mo nati. Abbiamo avuto un percorso simile, ha seguito le mie tracce ma non ho dovuto convincerlo, è stata una scelta naturale».
Ad ottobre ci sarà l’appuntamento con i mondiali: con quali aspettative vai in Francia?
«Il Mondiale è sempre il Mondiale. Ho vent’anni e ci andrò senza particolari aspettative, ma con la volontà di fare il meglio possibile, consapevole che dovrò affrontare i migliori velocisti del pianeta. Lo vivrò come un passaggio di crescita ulteriore, soprattutto in vista dell’Europeo élite del prossimo febbraio, che farà da qualificazione preolimpica...».
La qualificazione alle Olimpiadi di Parigi 2024 pensi possa essere un obiettivo raggiungibile?
«Difficile da dire, ma ci proveremo, perché no? Ci sono diverse variabili da tenere in considerazione, abbiamo un gruppo molto giovane che può guardare al futuro. Staremo a vedere».
Km da fermo, Velocità e Keirin sono le specialità in cui ti cimenti, ma è la prima che ti ha regalato la medaglia europea éli­te. È la disciplina in cui ti senti più forte?
«Esatto, è la specialità in cui riesco ad esprimermi meglio, soprattutto quest’anno, dopo un paio di stagioni non particolarmente positive, e le medaglie conquistate lo dimostrano. Nella Ve­locità e nel Keirin subentrano anche fattori tecnici e tattici e non è detto che se sei il più forte vinci, mentre nel Km da fermo è più che altro una sfida con sé stessi. Bisogna conoscersi, saper re­cuperare bene tra una prova e l’altra, gestire lo sforzo ed essere fisicamente al meglio. Inoltre, è uno sforzo più prolungato».
Hai mai avuto il richiamo della strada?
«No, mai. Coden mi ha sempre lasciato libero di scegliere quello che volevo, ma strada e Velocità sono ormai in­compatibili, entrambe sono diventate molto più specifiche e una esclude l’altra. Se 20-30 anni fa si poteva pensare di fare una e l’altro, oggi è impossibile».
Hai un modello di riferimento?
«Mi ispiro ai grandi specialisti della di­sciplina, come Jason Kenny e Grégory Baugé, ma in generale a tutti quelli che hanno vinto nella Velocità».
Un sogno?
«Beh, andare alle Olimpiadi...».

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