Longo Borghini, la regina di Roubaix

di Giulia De Maio

Rosso come il fuoco che le arde dentro. Rosso come una delle tre bande colorate che orgogliosamente sfoggia sulla sua maglia. Rosso come le fiamme che le bruciavano le gambe sul pavè. Rosso come il cuore colmo d’amore che ha protetto con pudore e adesso mostra fiera al mondo. Rosso come la bici che l’ha portata in trionfo nella regina delle clas­siche, facendola sentire la più “fi­ga” di tutte. Se dovesse scegliere un colore per dipingere il suo mondo Eli­sa Longo Borghini non avrebbe dubbi. È con questa tonalità, tradizionalmente simbolo di vitalità, che questo mese ve la raccontiamo, in una intervista appassionata e divertente, in cui Eli si è concessa a ruota libera.
L’Inferno del Nord si è trasformato ancora una volta in Paradiso per i colori italiani. A sei mesi dalla volata vincente di Sonny Colbrelli ricoperto di fango, nel velodromo André Pétrieux è stata lei a urlare di gioia e a regalarci un’impresa storica. Alla vigilia di Pa­squa la campionessa italiana si è imposta nella seconda edizione femminile scattando a 33 chilometri dal traguardo e facendo mangiare la polvere a tutte le avversarie che, a ripensarci, avrebbero preferito che avesse ascoltato le sue sensazioni. La trentenne piemontese non doveva nemmeno correre la classica delle pietre, invece ha affrontato da sola 8 dei 17 tratti di pavè, compreso il mitico Carrefour de l’Arbre. Arrivava da una primavera funestata da problemi fisici, come miglior risultato non era andata oltre l’ottavo posto alla Strade Bianche e in casa Trek Se­gafredo hanno dovuto convincerla fino all’ultimo per portarla in Francia.
«Farai parte della squadra perché tu puoi vincere» le ha detto al momento delle convocazioni Luca Guercilena, nonostante lei avesse provato ad anticipare le scelte facendosi da parte: «Mi sto curando con gli antibiotici, non vo­glio gareggiare solo per fare la comparsa».
Invece con la sua bella maglia tricolore, proprio come erano riusciti a fare Fau­sto Coppi nel 1950, Francesco Moser nel 1980, Andrea Tafi nel 1999 e pure il Sonny Colbrelli del 2021 campione italiano ed europeo in carica, ha piazzato l’attacco decisivo. Sul tratto in pavè di Templeuve, lo stesso in cui Franco Ballerini sbaragliò la concorrenza nel 1995, la poliziotta di Or­navasso ha guadagnato fior di secondi senza mai voltarsi indietro, anche grazie alla perfetta azione da stopper delle compagne olandesi Lucinda Brand, alla fine terza come Elisa un anno fa, ed Ellen Van Dijk, che questo mese andrà a caccia del record dell’ora.
Questo successo è solo l’ennesimo trionfo di una carriera stellare, già impreziosita da 30 vittorie, tra cui due bronzi olimpici nella prova in linea di Rio2016 e Tokyo2020 (unica a confermarsi sul podio a distanza di 5 anni, ndr), il Fiandre, la Strade Bianche, il Trofeo Binda e un Giro dell’Emilia. E in più si tratta dell’ennesima perla per il ciclismo femminile italiano, che ha vissuto un inizio di stagione da sogno con le imprese delle sue regine.
Quanto ci hai messo a renderti conto di aver fatto un gran numero?
«Per l’adrenalina ho trascorso due notti insonni, ma dopo tre giorni, nu­merose interviste e tantissimi messaggi ho realizzato che è tutto vero. Non me lo aspettavo proprio. La sinusite mi ha perseguitata per un mese. Faticavo a respirare e nel ciclismo la respirazione è tutto, così ho dovuto fare un passo in­dietro per farne due avanti. Ho ri­nunciato ad Amstel e Freccia del Bra­bante, ho affrontato un ciclo di antibiotici per liberarmi dall’infezione e alla vigilia di Pasqua finalmente mi sono sentita bene. Sapevo di valere di più di quello che avevo ottenuto fino a quel momento, è stato anche frustrante per diverse settimane, ma questa vittoria mi ripaga da ogni sacrificio. Ho attaccato di puro istinto, sapendo che avrei potuto scegliere le traiettorie migliori sul pavè e ascoltando quello che mi ripeteva la ds Ina-Yoko Teutenberg. “Go Elisa! You gonna get the best victory of your career”. Aveva ragione, è la vittoria più bella che ho conquistato finora».
La Roubaix è...
«Fuoco e argento vivo. Come ho detto a caldo, affrontandola mi sono sentita come catapultata dall’inferno al paradiso dantesco della Divina Commedia studiata a scuola. Prima ho vissuto l’inferno sui ciottoli, poi mi sono ri­trovata in paradiso grazie a quei due giri in solitaria su una pista che ha fat­to la storia del ciclismo. Sul pavè le gambe fanno male, era come se fossero avvolte dalle fiamme. Come Paolo e Fran­cesca nel quinto canto dell’Inferno. Appena tagliato il traguardo non avevo parole, mi sono passate tante cose per la testa. Il mio nome resterà scolpito per sempre in quel luogo».
Quanto è stata importante la pazzia del tuo fidanzato (e compagno di squadra) Ja­copo Mosca di venire alla partenza “solo” per dirti ciao?
«Quello che lui ha fatto per me è stato indescrivibile, non me lo aspettavo, an­zi lo avevo anche minacciato. “Se provi a venire ti ammazzo. Tanto mi staccherò, raccoglierò l’ennesima brutta figura”. Non mi ha dato retta. Con­cluso il Giro di Sicilia, ha preso l’aereo per stare con me dieci minuti e poi è volato ad allenarsi in altura al Sestriere in vista della corsa rosa. Ritrovarmelo lì mi ha cambiato completamente la giornata. Ricorderò per tutta la vita il suo gesto. Non l’ha fatto per farmi an­dare più forte, anche se ci credeva decisamente più di me, ma per darmi un abbraccio e questo ha fatto la differenza. Sapeva che arrivavo da un periodo particolare (aveva rimediato la bronchite nei giorni del Trofeo Binda, ndr), è venuto per strapparmi un sorriso. Ce l’ha fatta».
Quanto è difficile incastrare i vostri impegni?
«Viviamo con un calendario condiviso sul telefonino in cui ognuno inserisce i suoi impegni e poi cerchiamo di risolvere il puzzle. Alla domanda: quando riusciamo a vederci? La risposta è qua­si mai, ma stiamo diventando bravi a giocare a tetris. Prima di quel quarto d’ora scarso pre Roubaix eravamo stati insieme per 8 ore dopo 25 giorni lontani. Dopo la Liegi abbiamo potuto ricaricare le pile insieme una manciata di giorni prima che lui partisse per il Gp di Francoforte».
Però sarà facile capirsi visto che svolgete lo stesso lavoro e condividete la stessa squadra...
«Sì. Jacopo capisce se un allenamento è andato bene o male solo guardando la mia faccia dopo la prima ripetuta. Non dice nulla perché è meglio così, ma sa cosa mi passa per la testa, mi capisce al volo e questo è un grande vantaggio. Vivendo entrambi in prima persona le dinamiche che il nostro lavoro comporta, non servono spiegazioni. Può succedere che la squadra chiami un giorno per l’altro se un compagno si fa male e la mattina successiva alle 6 devi prendere il volo che ti hanno prenotato per una gara che non avevi in programma».
Dove metterai il trofeo della Rou­baix?
«Nella mia-nostra casetta a Or­navasso. Dobbiamo trovare il posto adatto perché pesa come un bambino e mi fa paura l’idea di metterlo su una mensola poco stabile, potrebbe caderci in testa».
Hai sentito Sonny Colbrelli, vincitore sei mesi prima di te della prova maschile?
«Non ho avuto l’occasione di parlarci direttamente ma ho seguito gli aggiornamenti che lo riguardano e mi auguro che possa stare bene in primis come persona. Tutto il resto a livello sportivo viene dopo, ciò che conta è che sia al fianco della moglie e dei suoi due figli».
E la tua compagna Lizzie Deignan, trionfatrice della prima edizione e ora in maternità?
«Ha seguito la corsa da casa ed è stata veramente contenta. Quando sono an­data a fare la doccia le ho mandato una fo­to della sua targhetta scrivendole “per me è un onore essere vicino a te”. Mi viene quasi da ridere a pensare che il mio nome sarà in mezzo a campioni che hanno fatto la storia. Io non riesco a paragonarmi a un mito come Moser. Io sono semplicemente Elisa. In bici mi diverto sempre e, quando sto bene, vinco».
In futuro vorresti avere figli come lei o finché sei in attività lo escludi?
«Sono tradizionalista, prima di allargare la famiglia ci sono altri passi da af­frontare. L’idea di avere un bambino gi­ra nella testa ma non so proprio quan­do si concretizzerà».
A proposito di bambini, se incontrassi l’Elisa versione giovanissima cosa le diresti?
«Di divertirsi e di avere sempre tanta fede perché se fai le cose fatte bene, ci credi e lavori per raggiungerli alla fine i risultati arrivano».
E lei cosa pensi ti direbbe?
«Per quanto ero timida allora penso si limiterebbe a squadrarmi dalla testa ai piedi».
Qual è la lezione ricevuta da piccola che ri­cordi tuttora?
«I miei genitori mi hanno insegnato a ricordarmi sempre chi sono e da dove arrivo, a tenere i piedi per terra, a onorare qualsiasi maglia abbia indosso, di club e soprattutto della nazionale, e a lavorare tanto. Il lavoro a casa mia è tutto, ho sempre visto i miei darsi da fare, è una peculiarità di famiglia (il fratello Paolo ha corso da prof dal 2004 al 2014; mamma Guidina Dal Sasso ha partecipato alle Olimpiadi in­vernali del 1984, 1988 e 1994 nello sci di fondo, prendendosi una pausa soltanto prima di Albertville 1992 per dare alla luce Elisa; papà Ferdinando è andato cinque volte ai Giochi da tecnico, sempre nel fondo, ndr)».
La tua prima bici dov’è?
«Ce l’ha il Pedale Ossolano. La squadra giovanile con cui ho mosso le pri­me pedalate me ne ha data in uso una che ho riconsegnato alla fine della stagione da G3, probabilmente qualche bambino la sta ancora usando. Passano gli anni, ma le bici restano».
Se avessi una bacchetta magica?
«Sono molto concreta. In questo mon­do non esistono, ma sto al gioco e ri­spondo che la userei per togliere il calzino a tutti quelli che lo portano con il sandalo. Non si può vedere».
Voto 100 a chi?
«A Jacopo».
Dito medio a chi?
«All’automobilista che mi taglia la strada».
Ridi o piangi di più?
«Rido, decisamente».
A cosa non sai resistere?
«Alla pasta al pomodoro».
La qualità migliore del tuo carattere?
«Perché, ne ho una? (sorride, ndr)».
Quella su cui devi lavorare...
«Il mio orgoglio, me la prendo tantissimo».
Che rapporto hai con il tuo corpo?
«Mi guardo, ci parlo, andiamo abbastanza d’accordo. A volte da lui ottengo le risposte che mi aspetto, altre no. Ogni tanto vorrei far girare le gambe più forte, ma lui replica “no, oggi no” perché è un po’ stronzo».
Con il pubblico?
«Sentire i tifosi italiani che gridano il mio nome mi gasa tantissimo. Alla Roubaix prima di scattare ho avuto quasi un colpo d’istinto e ho deciso di partire a tutta. Ho fatto la scelta mi­gliore della mia vita. Se non rischi, non vinci. E se non credi nei tuoi attacchi, non vinci».
Con la notorietà?
«Sinceramente sono un po’ selvatica da questo punto di vista, non riesco a far capire quanto apprezzi il tifo a bordo strada, quanto sia bello in allenamento un “Vai Elisa”, lo apprezzo tanto. So­no un po’ chiusa ma davvero grata nei confronti di chi mi sostiene».
Con i giovani che si ispirano a te?
«Essere un modello per le ragazze e i ragazzi è un grande onore e una altrettanto grande responsabilità. Più che diventare una super atleta voglio essere una brava persona. Questo conta. Sono umana, ma provo a fare il meglio che posso».
Cosa ti fa paura?
«Non trovare le chiavi di casa, l’idea di restare chiusa fuori».
Cosa ti rende triste?
«Litigare».
Cosa, al contrario, è sinonimo di felicità?
«Avere le persone che amo attorno. I miei quattro nipoti».
Cosa ti fa sentire libera?
«Andare in bici».
Film e libro preferito.
«A Walk to Remember e L’ombra del vento di Zafón».
Cos’hai sul comodino?
«Una noce (un portafortuna che ci sia­mo scambiati con Jacopo e che lui ha rotto subito) e un orsetto di peluche».
La prima cosa che fai al mattino?
«Metto sul fuoco la moka del caffè e rotolo verso il frigo, in genere mi sveglio con una fame incredibile».
L’ultima prima di andare a dormire?
«Mando la buonanotte al mio ragazzo e alla mamma».
Di notte sogni?
«Spessissimo. Cose belle, senza senso e brutte. Parlo anche, racconto pure co­se sensate, ma per saperne di più do­vreste chiedere alla mia compagna di stanza Audrey Cordon-Ragot».
Archiviate le classiche, nel mirino hai Gi­ro e Tour.
«Sì. Dopo il 6° posto alla Freccia Val­lone e il 5° alla Liegi-Bastogne-Liegi è tempo di pensare alle corse a tappe. Per questa volta al Giro punterò ai successi di giornata, mentre al Tour vedremo se curare la generale. Non lo escludo, nel 2020 provarci alla corsa rosa non mi ha stressato, nella passata stagione un po’ di più ma perché Jacopo era caduto al Campionato Italiano e io non ero serena al cento per cento. Mi piacerebbe un giorno lottare per la ge­nerale di una corse a tappe importante».
Hai analizzato i percorsi dei Campionati Europei e Mondiali?
«Sulla carta il primo sembra decisamente adatto a ragazze veloci come Marta Bastianelli ed Elisa Balsamo, il secondo ricorda un po’ quello nello Yorkshire, ci regalerà una gara dura».
Le cicliste italiane stanno dominando. L’I­talia è la nuova Olanda?
«Stiamo diventando sempre più un ri­ferimento in ambito internazionale, sia a livello femminile che maschile. La mia Roubaix è arrivata sei giorni dopo l’Amstel Gold Race e quattro giorni prima della Freccia Vallone firmate da Marta Cavalli, dopo Trofeo Binda, De Panne e Gand-Wevelgem tutte finite a casa di Elisa Balsamo e la Dwars door Vlaanderen di Chiara Consonni. Non dimentichiamoci però anche la grande annata passata dei ragazzi con Caruso, Colbrelli... Tutto il movimento italiano è ormai un faro mondiale».
Finalmente tv, giornali, sponsor si sono re­si conto di quanto sia interessante il ci­clismo femminile. Facendo il confronto tra la rassegna stampa belga e italiana pe­rò non ti viene da dire che sarebbe stato meglio nascere fiamminga?
«Mai. Sono orgogliosissima di essere italiana».
Oltre al trofeo e alla targhetta sulla doccia, da Roubaix ti sei portata a casa un montepremi da 20mila euro (più che raddoppiato rispetto ai 7mila di un anno fa). Cosa manca ancora?
«Sembra passato un secolo da quando nel 2015 vinsi il Giro delle Fiandre e mi esposi in prima persona, sottolineando come alla vincitrice della gara femminile venisse corrisposto un premio di poco più di 1.200 euro, contro i 20.000 pagati al vincitore del Fiandre maschile. Stiamo andando nella direzione giusta, in alcune occasioni mancano ancora grandi investimenti ma ci stiamo arrivando. Non è il caso di la­mentarsi, meglio guardare a quello che c’è ed è tanto, sfruttare il momento, correre bene, dare spettacolo. Più ne offriamo più la gente ci segue, si appassiona e il movimento ne beneficia».
Su tuttoBICI per il secondo mese di fila c’è una donna in copertina. Il 2022 sarà l’anno del sorpasso?
«Non mi piace per niente parlare di battaglia dei sessi, credo fortemente nella coesione e complementarietà tra uomini e donne».
I vostri colleghi sono i primi a sostenervi. Quando hai vinto la Roubaix Tao Geo­ghe­gan Hart ha twittato: “Never up for debate. But @ElisaLongoB is cool as fk”. Sulla tua bici e con la maglia tricolore addosso ti senti “figa da morire” co­me ti ha definito lui?
«Devo proprio dargli ragione (ride di gusto, ndr). Alla Roubaix avevo una bi­ci spaziale, la vorrei dello stesso colore anche per le prossime gare su strada. Il rosso fiammante del telaio con il tricolore della maglia sta una favola».

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