Classiche, la primavera delle emozioni

di Francesca Monzone

Il ciclismo è entrato nel vivo della stagione e lo ha fatto con le Clas­siche Monumento, le corse epiche, che rendono eterno il nome di ogni vincitore, perché vincere in queste gare è un previlegio riservato solo ai corridori più forti.
È un cammino lungo, quello che porta alle classiche monumento, un cammino che parte dal Belgio quando ancora l’inverno non è scivolato via, passa per l’Italia e poi ritorna al Nord per vivere la primavera più attesa, quella dei grandi appuntamenti.
Il 20 febbraio la stagione è iniziata con la Omoop Het Nieuwsblad, la corsa che da Gent arriva dopo 204 km a Ni­nove e nella quale Van Aert ha messo a segno la sua prima vittoria davanti a Sonny Colbrelli e Greg van Avermaet. Pochi giorni dopo gli specialisti delle corse di un giorno sono arrivati in Italia, a Siena, per battersi sulle polverose strade to­scane. Era il 4 marzo quando le crete senesi hanno fatto da sfondo a Strade Bianche, una delle corse più amate da pubblico e corridori, con la vittoria che è andata a Tadej Pogacar, autore di una bellissima impresa solitaria.
Il campione sloveno ancora una volta ha stregato il pubblico e lasciato senza parole i suoi avversari: il capitano della UAE Emirates è entrato in Piazza del Campo e alle sue spalle, staccato di 37”, è arrivato Alejandro Valver­de, che a 41 anni ha ancora voglia di attaccare per cercare il successo. A chiu­dere il podio Kasper Asgreen, che non è riuscito a tenere il ritmo dello sloveno e dello spagnolo.
Marzo è il mese della Classicissima di Primavera, la Milano-Sanremo, la pri­ma classica Monumento della stagione, che dalla Lombardia arriva sul mare li­gure, pochi giorni dopo il Festival della canzone italiana.
Su via Roma c’è lo storico traguardo di questa corsa, che negli anni è stata testimone di straordinari attacchi partiti dal Poggio e arrivi in volata. La San­remo è la classica più lunga con i suoi 293 km, ma è anche la corsa dove è facilissimo sbagliare il pronostico.
Quest’anno a causa dei tanti virus in­fluenzali sono stati molti i corridori costretti a rinunciare all’appuntamento, ma lo spettacolo certamente non è mancato.
Anche questa volta la vittoria è stata costruita da una mente straordinaria, quella di Mathej Mohoric, che si è preparato tutto l’inverno per questo appuntamento.
«Avevo un piano ben preciso, ci ho lavorato in inverno quando sono venuto a fare delle ricognizioni del percorso - ha spiegato Mohoric -. In squadra poi mi hanno proposto di utilizzare il dropper (reggisella telescopico, ndr) che di solito usano i biker, inizialmente ero dubbioso, poi l’ho provato e mi ha convinto subito. Già alla Strade Bian­che stavo bene, sono rimasto coinvolto anch’io nella caduta di Alaphilippe e ho battuto il ginocchio. Sono stato co­stretto a restare quattro giorni senza bici, ma alla Sanremo sono arrivato pronto. E quando sono giunto in cima al Poggio, a pochi metri dai migliori, mi sono detto “oggi o mai più” ed è stato oggi».
Lo sloveno della Bahrain-Victorius in Liguria ha conquistato la vittoria più bella, facendo la differenza in discesa e non in salita. Alle sue spalle sono arrivati il francese Turgis e Van der Poel, che hanno dovuto riconoscere la superiorità di Mohoric.
Impressionante soprattutto il piazzamento di Van der Poel che sulle strade liguri ha fatto il suo esordio stagionale, dopo un lungo periodo di recupero a causa dei problemi alla schiena. Quel giorno il fenomeno olandese ha iniziato a prendere le misure ai suoi avversari per arrivare qualche settimana dopo alla vittoria del Giro delle Fiandre.
Ma andiamo con ordine perché quando il gruppo sbarca in Belgio ci sono altre due Classiche: la E3 Saxo Bank Classic e la Gent-Wevelgem.
Nella prima la vittoria è andata a Wout Van Aert, mentre la seconda è stata vinta Girmay Biniam, il primo corridore africano nel­la storia del ciclismo ad aver conquistato una Classica. Nato in Eritrea 22 anni fa, Girmay - già argento ai Mondiali di Lovanio nella categoria under23 - è diventato una celebrità in Africa e questa sua vittoria in Belgio, ha voluto dedicarla a tutti gli atleti del suo continente, sperando che il suo successo possa servire ad in­cen­tivare ulteriormente la pratica dello sport.
È domenica 3 aprile quando in Belgio si torna a correre la Ron­de: non una gara normale ma una vera festa del ci­clismo, con la gente che è tornata sulle strade sventolando le bandiere gialle con il leone rampante, simbolo delle Fiandre. È questo l’evento che più di ogni altro esalta l’identità fiamminga.
E dopo due anni di pandemia e di corsa senza pubblico, sembrava davvero che tutte le Fiandre fossero scese in strada per celebrare il grande giorno della Ronde.
In questa edizione 2022 Giro delle Fian­dre è partito da An­versa, per arrivare a Oudenaard dopo 272 km di corsa: la gara è stata ancora una volta straordinaria e appassionante.
La sfida finale si è tramutata presto in un di­scorso in cui a parlare erano solo Mathieu Van der Poel e Tadej Po­ga­car. Uno lo sloveno fenomenale, de­fi­nito il nuovo Merckx, puntava a vincere in una gara per lui non esattamente congeniale. L’olandese, figlio e nipote d’arte, arrivato dal ciclocross, puntava a bissare il successo già ottenuto nel 2020.
Mathieu è stato forse non il più forte, ma certamente il più bravo nel costringere l’avversario all’errore. Nell’ultimo chilometro tra i due è iniziato infatti un gioco di sguardi che li ha portati a pe­dalare quasi al rallentatore. Mathieu davanti che si gira e controlla, Pogacar dietro che aspetta sia l’olandese a fare la prima mosssa. Anche il pubblico rimane in silenzio nell’attesa di vedere chi lancerà l’ultima azione, quella decisiva che scriverà il nome del vincitore del Giro delle Fiandre. Ma il rallentamento apre il sipario ad una scena inatesa, il rientro di Dylan Van Baarle e Valentin Madouas cambia le carte in tavola, rompe la magia dello scontro diretto, cambia la storia della corsa.
Appena arrivano i due, Van der Poel prende l’iniziativa con uno scatto po­tente, figlio di anni ad accumulare partenze brucianti nel ciclocross e nella mountain bike, contro il quale è impossibile recuperare. Il pubblico ora urla, preso da quell’euforia tipica della festa fiamminga. Van der Poel taglia per pri­mo il traguardo sul lungo viale di Ou­denaarde, dimostrando di essere il più astuto di tutti. Dietro di lui finiscono proprio Van Baar­le e Madouas, mentre Pogacar, meno esperto e forse troppo ingenuo, si è atto chiudere dagli avversari sia a destra che a sinistra ed è stato costretto ad accontentarsi del quarto posto.
Da vero campione qual è, lo sloveno ha accettato la sconfitta e al termine della gara si è complimentato con Van der Poel. «Purtroppo sono rimasto chiuso dal rientro di Madouas e Van Baarle, ma fa parte del ciclismo. Cose del genere accadono, non ho potuto cogliere l’occasione negli ultimi 100 metri e Van der Poel è stato bravo. Tornerò? Posso rispondere sem­plicemente: sì!».
L’olandese ha preso parte 4 volte alla Ronde e ha un bilancio fantastico: quarto nel 2019, primo nel 2020 nella sfida diretta contro Van Aert, secondo lo scorso anno nel duello con il danese Asgreen e ancora primo quest’anno.
«All’inizio pensavo di giocarmela solo con Pogacar, che ha spinto forte tutto il giorno - ha raccontato Van der Poel nella conferenza dopo la gara -, poi sono arrivati da dietro molto velocemente nel finale Madouas e Van Baarle a rimescolare le carte. In gara Tadej è stato fortissimo, sull’Oude Kwaremont e sul Paterberg ho rischiato di staccarm. È stata una gara durissima, ma rifarei tutto. Forse Pogacar è stato il mi­gliore in gara, poteva salire sul po­dio e avrebbe potuto anche battermi, ma stasera a far festa sono io».
Alla fine Pogacar è stato uno dei grandi protagonisti della stagione delle classiche, almeno nella prima parte, ma il suo carniere è rimasto vuoto.
Dal Belgio all’Olanda, dove è andata in scena il 10 aprile l’Amstel Gold Ra­ce, anticpata rispetto al solito per l’inversione di data concordata con gli organizzatri della Roubaix.
Van der Poel, che aveva vinto an­che la Attraverso le Fiandre a fine marzo, dopo il successo della Ronde partiva con tutti i favori del pronostico, ma le cose non sono andate come sperava. Con un percorso che favoriva di più i velocisti, e complice forse anche un po’ di stanchezza, l’olandese non ha brillato nella corsa di casa con la vittoria che è andata all’ex iridato Michal Kwiatko­w­ski, bravo a battere al fotofinish il francese Cosnefroy, mentre il belga della Jumbo Visma Tiesj Benoot si è portato a casa il terzo posto proprio davanti a Van der Poel.
Con la vittoria nella classica della birra, il polacco della Ineos Grenadiers è tornato a vincere dopo un digiuno durato 19 mesi: l’ultima vittoria l’aveva ottenuta al Tour de France nel settembre del 2020.
Tra vinti e vincitori bisogna dedicare uno spazio a Wout Van Aert, che in questa campagna di primavera non è riuscito ad ottenere la vittoria che cercava. Il fiammingo aveva iniziato bene l’anno con la vittoria alla Omloop Het Nieuwsblad, poi ha colto il successo anche nella cronometro della Parigi-Nizza arricchita dalla conquista della maglia verde. La conferma sulla sua ottima condizone è arrivata a marzo con il successo alla E3 Saxo Bank Classic, ma pochi giorni dopo è arrivato lo stop a causa della positività al Covid.
Alla vigilia del Giro delle Fiandre Van Aert si è dovuto fermare per alcune settimane pur non avendo avuto sintomi importanti: dopo i dovuti controlli e il via libera dei medici, il fiammingo si è presentato alla partenza della Parigi-Roubaix senza aspettative ma solo con la voglia di far bene. E bene ha fatto davvero, anche se la vittoria è andata all’olandese Dylan van Baarle, anche lui della Ineos Grenadiers, che dopo l’argento al mondiale di Lovanio e il se­condo posto al Fiandre, sul pavè della Regina del Nord è riuscito a conquistare la prima Clas­sica Mo­numento della sua carriera.
Alle sue spalle è arrivato proprio Van Aert e poi lo svizzero Küng per completare il podio.
«È stata incredibile la mia vittoria - ha raccontato l’olandese -. Ho vinto nella corsa che amo di più ma sul terreno che odio di più. Ho capito che però che la differenza potevo farla proprio sul pavè, sul quale adesso ho imparato a correre».
A proposito di Ineos, riflettori puntati anche sul giovanissimo statunitense Magnus Sheffield che, appena sei giorni prima di compiere vent’anni, si è portato a casa il successo nella Freccia del Brabante, praticamente la corsa che sancisce il passaggio dal Fiandre alle Ardenne.
Dopo aver sfruttato il gioco di squadra, Sheffield ha messo a segno lo scatto vincente per andare a conquistare un successo che ne sancisce il valore e lo inserisce di diritto nei campioni di un domani che è ormai molto vicino al presente.
Grande Sheffield ma grande anche Dy­lan Teuns che firma l’impresa alla Frec­cia Vallone e conferma quanto di buo­no sta facendo la Bahrain Victo­rious.
Il trentenne belga si è esaltato sul Muro di Huy al termine di un appassionante testa a testa con Alejandro Val­verde: a 150 metri dalla conclusione lo spagnolo - già a segno su questo traguardo per cinque volte - ha affiancato il rivale ma poi gli sono mancate le gambe. Il secondo posto, però, ottenuto alla soglia dei 42 anni, lo conferma come uno dei più grandi campioni degli anni Duemila.
L’ultima classica Monumento di primavera è la Liegi-Bastogne-Liegi, forse la più dura di tutte le corse del calendario. Po­gacar, vincitore uscente e favorito numero uno della corsa, questa volta era assente: ha chiesto alla squadra di non partecipare per restare vicino alla fidanzata Urska, colpita dal terribile lutto della perdita della mamma
Il più pronosticato è diventato così l’iridato Alaphilippe, forte del fatto di essere spalleggiato dal giovane compagno di squadra Evene­poel. Ma il ciclismo, lo sappiamo bene, è uno sport pieno di imprevisti e una caduta - a proposito, buon recupero - ha negato al francese iridato di lottare per vincere, aprendo al tempo stesso la via per il successo ad Evenepoel, a cui è spettato il compito di riscattare l’orgoglio ferito della Quick Step-Alphavinyl. Non sono mancati in questi primi mesi dell’anno gli attacchi alla squadra di Lefevere, rea di aver vinto meno che in passato (infortuni e covid per la verità hanno lasciato un segno profondo nel rendimento del Wolfpack, ndr), ma a mettere a tacere ogni chiacchiera ci ha pensato Evenepoel, che ha vinto in solitaria la Doyenne.
Remco ha compiuto un autentico show, ha attaccato a tutta sulla Re­doute e nessuno ha saputo tenere il suo passo in salita né tantomeno recuperare terreno in discesa.
Il giovane Remco ha vinto così la sua prima classica monumento dimostrando di essere tornato forte come prima dell’incidente al Lombardia 2020, che per lunghi mesi ne ha condizionato il rendimento.
La Liegi-Bastogne-Liegi ha visto salire sul podio tre corridori di casa, grazie a Quintin Hermans e Wout Van Aert:  non accadeva dal 1976, quando la vittoria era andata Jo­seph Bruyere, davanti a Fred­dy Maer­tens e Frans Verbeeck, di vedere tre belgi sul podio.
«Oggi è stato probabilmente il giorno più bello della mia carriera in bicicletta, almeno fi­nora. Ed è stato il mo­mento mi­gliore per vivere il mio giorno mi­gliore - ha detto Evene­poel dopo il pianto liberatorio la quale si è lasciato andare a fine corsa -. Per pri­ma cosa voglio ringraziare la squadra che mi ha tenuto al riparo dal vento tutto il giorno: questa è una vittoria che voglio dedicare a tutto il team. Veniamo da un periodo molto difficile, anche oggi siamo stati sfortunati visti gli incidenti di Ala­phi­lippe e Van Wilder, ma abbiamo dimostrato che siamo sempre il Wolf­pack: continuiamo a lottare e ci crediamo. So­no molto orgoglioso di quello che ho fatto».
Le immagini che salutano la stagione delle Classiche, sono quelle di Eve­nepoel che piange e abbraccia la ma­dre e la fidanzata e poi ancora il lungo ab­braccio e le parole che gli ha sussurrato Patrick Lefevere, con la consapevolezza di essere tornato finalmente nel gruppo dei grandi.

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